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Fa sorridere che subito dopo aver attraversato Via
Vitellia, la Via 8 Marzo Festa della donna confluisca in una strada dedicata a Donna
Olimpia, la famigerata Donna Olimpia Maidalchini, che certo non rende troppa
giustizia al genere femminile.
Via di Donna Olimpia taglia da nord verso sud
Monteverde. Ancora negli anni ’50 era luogo di confine con la città che qui
cedeva alla periferia, “ai prati
abbandonati, pieni di gobbe e ponticelli…” come scriveva Pier Paolo Pasolini,
o come Attilio Bertolucci: “ancora non
tutta fabbricata, di primavera presto visitata ancora da greggi di pecore
abruzzesi, come ai tempi di Stendhal o di D’Annunzio…”.
Una “borgata particolare”, come spesso viene
definita, che a partire dal suo nome contiene storia e storie, pur essendosi
formata in tempi piuttosto recenti.
Il nome. Come abbiamo detto, la via è intitolata a
Donna Olimpia, che visse dal 1594 al 1657 e che per scampare al convento non si
peritò di accusare il suo direttore spirituale di tentata seduzione. Attraverso
due opportuni matrimoni divenne ricchissima e potentissima. Cognata di Papa
Innocenzo X, aveva infatti sposato Pamphilio Pamphilj.
Una donna i cui eccessi furono dovuti ad ambizione e avidità più che ad altre
intemperanze, cinica e assai chiacchierata, su di lei giravano aneddoti e
pettegolezzi in gran numero. Ad esempio, pare che per arrivare ai favori del
papa si dovesse prima pagare pedaggio alla cognata. Bernini ottenne la commessa
della fontana di Piazza Navona solo dopo averle regalato un modello in argento
di notevoli dimensioni.
La papessa, come era soprannominata, non si pose
scrupoli pur di accusare di spionaggio il cardinale Giovanni Battista Pallotta ed
egli senza mezzi termini rispose che “era
bene una vergogna che il governo di Roma stesse in mano di una puttana”.
Ancora nei pressi di Porta San Pancrazio, adiacente
a Villa Pamphilj, vi è un’arcata dell’acquedotto di Traiano, poi ripristinato
da papa Paolo V, detto “Arco di Tiradiavoli” perché scavalca la Via Aurelia
antica, anch’essa detta un tempo Via di Tiradivoli, strada che Donna Olimpia
avrebbe percorso su una carrozza fiammeggiante in fuga con due casse piene
d’oro che aveva rubato, tirandole via da sotto il letto, al cognato appena
defunto. La carrozza sarebbe stata trainata dai diavoli che l’avrebbero fatta
sprofondare nelle viscere della terra, giù all’inferno. Prende lo stesso nome
anche il fosso di Tiradiavoli, la marrana formata dalle sorgenti della Valle
dei Daini di Villa Pamphilj e che attraverso la valle percorsa da Via Donna
Olimpia scendeva verso il Tevere. Il fosso fu interrato dalla costruzione delle
case popolari che si affacciavano lungo la strada, che non a caso fu poi
intitolata con il nome della “papessa”.
La borgata di Donna Olimpia nacque per bonificare
l’area degradata dalla presenza della fabbrica C.L.E.D.C.A. a partire dal 1931.
Per allontanare gli strati sociali più poveri o indesiderati della società e
per alloggiare le persone che avevano perso l’abitazione, in seguito agli
sventramenti del centro per la monumentalizzazione della Roma fascista, tra gli
anni ’20 e ’30 furono costruite delle case “popolarissime”, convenzionate con l’Istituto
Case Popolari. Venne edificata ai margini della città, come altre borgate in
questo periodo. Tra i documenti ufficiali, Donna Olimpia compare dunque
denominata “borgata”, se pure questo nome non sia mai piaciuto ai suoi
abitanti. La zona fu scelta per il suo basso costo, vista l’insalubrità
dell’area invasa dalla fabbrica, ma anche perché offriva un potenziale sviluppo
in tempi brevi e per la contiguità con il quartiere borghese di Monteverde
Vecchio, della Stazione di Trastevere e l’Ospedale Forlanini che fu costruito
in quel periodo. Così nacquero i due casermoni di Piazza Donna Olimpia al
civico 5 e in Via Donna Olimpia al n. 30.
Sono stati cancellati dai colpi di scalpello i fasci
littori che siglavano ciascun palazzo. Solo rimane la data, 1932, X anno dell’era fascista,
all’interno di un cortile. Incancellabile è invece la firma del potere centrale
se vista dall’alto: alcuni palazzi, raccolti lungo la strada e le due vie
Ozanam e Paola Falconieri, sono disposti in modo da formare in pianta la parola
“Dux”.
La vita era molto ben organizzata nel quartiere: la siesta del pomeriggio era un rito da rispettare ed era vietato scendere in cortile prima delle 16:00. Era vietato stendere i panni fuori dalle finestre e se gli inquilini non pagavano l’affitto venivano subito sfrattati e trasferiti in case più povere, con il wc in comune.
La vita era molto ben organizzata nel quartiere: la siesta del pomeriggio era un rito da rispettare ed era vietato scendere in cortile prima delle 16:00. Era vietato stendere i panni fuori dalle finestre e se gli inquilini non pagavano l’affitto venivano subito sfrattati e trasferiti in case più povere, con il wc in comune.
La scuola elementare Giorgio Franceschi fu edificata
nel 1939 ma durante la guerra fu destinata a ospitare i militari, mentre dopo fu
abitata dagli sfollati. Nel marzo del 1951 l’ala sinistra della scuola crollò
per cause non chiare. Ci furono molti feriti e quattro persone trovarono la
morte, tra questi la madre di Riccetto, uno dei protagonisti di “Ragazzi di
vita” di Pier Paolo Pasolini.
Negli anni del dopoguerra si mescolavano e durarono
a lungo povertà e rinascita, tracce del dolore appena vissuto e speranza
gioiosa. Arrivavano a Roma uomini di cultura, spesso semplicemente trasferiti
per lavoro, molti erano insegnanti nelle scuole, o attratti dalla “grande
uccelliera” come scrisse Giorgio Caproni di Pasolini che ebbe una “sua precisa volontà, già allora, di
spendere in tutto la ‘monedita dell’alma’ da protagonista e non da semplice
figurante”.
Giorgio Caproni arriva a Roma da Genova. Attilio
Bertolucci si trasferisce qui dalla pigra provincia di Parma. Emilio Gadda è milanese
e approda nella capitale dopo aver girovagato a lungo in Italia e nel mondo.
Vivono nel quartiere di Monteverde Vecchio, in Via Carini e Pio Foà, Viale dei
Quattro Venti. Timidi e schivi tutti e tre si rinchiudono nelle loro strade e
probabilmente poco si avventurano nella borgata. “Un senso di solitudine terribile”, scrive ancora Caproni e il suo
sguardo “di fulminato spavento” in una giornata di vento “genovesardo” sono alcune frasi che ben
spiegano lo stato d’animo del poeta.
Diverso Pier Paolo Pasolini che arrivò a Roma nel
1953 e visse in Via Fonteiana, la strada che sbuca in Via Donna Olimpia, in un
appartamento di due stanze. In seguito si trasferì in Via Carini, nello stesso stabile
in cui abitava il suo amico Bertolucci.
Ma Pasolini era amico di tutti a Monteverde ed era
un punto di riferimento per gli amici, l’uomo forte e fragile, “che pur conservando i suoi modi così
discreti e quasi direi trattenuti”, scrive ancora Caproni, sapeva vivere e
affrontava il mondo senza paura. Sono molte le voci di chi lo ricorda scendere
con i ragazzini in Via Donna Olimpia e da lì a giocare a pallone e a zecchinetta,
oppure a fare il bagno nel fontanone di Villa Pamphili o nel Tevere, ai piloni
del ponte Marconi. Donna Olimpia e le vie vicine riempiono e ispirano
profondamente molti versi e romanzi di Pasolini. Scritti che ogni abitante di
Monteverde e in particolare della borgata conoscono, devono conoscere. Scritti
pieni di immagini e di odori, soprattutto di voci, le voci dei “Ragazzi di
vita”. Una realtà fotografata in modo anche livido e brutale, ma sempre ricolmo
di solidarietà e tenerezza. Un inno d’amore verso questa gente che abitava in
palazzi che “si alzavano fino alla luna”.
Le storie di Via Donna Olimpia non finiscono con Pasolini. Memorabile è quello che successe il 16 marzo 1981 al civico 152. Due della Banda della Magliana, Marcello Colafigli, “Marcellone”, e Antonio Mancini, “Accattone”, piombano in casa di Maurizio Proietti, detto “er Pescetto” e lo uccidono per vendicare l’assassinio di un membro della Banda, Franco Giuseppucci. Gli spari però attirano l’attenzione di una volante della polizia che passava per caso proprio in quel momento. Rino Monaco, allora capo della squadra mobile, ricorda la sua cattura più esaltante: “Colafigli, che dopo avere ucciso uno del clan rivale dei Proietti fuggì lungo i tetti di Donna Olimpia, e io appresso, pistola in pugno. Alla fine ci trovammo faccia a faccia, lassù, dopo trecento metri di corsa spericolata, pistola contro pistola. Ma lui comprese che era finita e si arrese”.
Anche Via Donna Olimpia è stata scelta come set per ambientare
alcune scene di film. Qui sono stati girati, ad esempio, “Poveri ma belli”
(1957), a regia di Dino Risi, e “Celluloide” (1996) di Carlo Lizzani, che
racconta la storia del capolavoro di Rossellini “Roma città aperta”.
Oggi questa strada nelle belle giornate si accende
di sole e fa brillare gli alberi che corrono stretti ai due lati della strada.
Le case popolari di una volta oggi sono abitazioni molto ambite e cercare le
tracce del passato diventa sempre più difficile. Una targa nei pressi di Piazza
Donna Olimpia, in via Abete Ugone, proprio su un muro della scuola elementare
“Franceschi”, ricorda Pasolini. Poco lontano, in Via Ozanam si apre una
porticina tappezzata di riragli di giornale e foto del poeta. All’interno
quadri pieni di colore. E’ lo “scrittoio”, il centro culturale gestito da
Silvio Parrello, uno dei ragazzi di vita, il “Pecetto”, che scrive e dipinge anche
lui. Tracce malinconiche di un
passato che però era povero e difficile e che solo il romanticismo che ammanta
le cose finite può ancora far rimpiangere.