Antonella recita lentamente le parole, allungando lo
spazio vuoto per contare il tempo. Ha occhi grandi e dolenti come se più forte
della passione e del furore artistico ci fosse la rassegnazione di non sapere
come fare, come vivere, come volere, come riuscire ad affermare se stessa e il
suo talento. Come se provenire da un
luogo periferico equivalesse a una condanna.
Una condanna provenire da un'isola che già nel nome dice di essere
isolata. La Sardegna è il luogo più lontano dell’Italia e del Mediterraneo. È un
luogo di tesori e di bellezza che raggiungere è difficile ma ancor di più è difficile lasciare.
È un luogo abituato a mettere le catene a causa di un
retaggio che opprime e fa sentire oppressi. Così per un giovane sardo - e certo a maggior
ragione per una donna e di non grandi possibilità economiche - nutrire delle
aspirazioni comporta dover avere più energia, più determinazione. Ci vuole una grande
forza per dirlo alla famiglia, fare accettare che si vuole scegliere “quella
strada”. Una strada artistica che non è per tutti e non lo è per la figlia di una
famiglia semplice che ha sempre vissuto di poco; una strada troppo lunga e
impossibile ma che Antonella ha voglia di percorrere a ogni costo.
Diventare attrice,
interpretare ruoli, distaccarsi dal proprio corpo per rivestirsi di altre
identità e di altre anime. Questo è il desiderio di Antonella, cominciato quel
giorno alle scuole medie, quando aveva assistito a una rappresentazione
teatrale. Niente di che, eppure si era svegliata in lei una passione così
dirompente, così profonda da obbligarla a scegliere “quella vita” in modo
irrevocabile.
Dopo gli studi universitari in antropologia culturale, si iscrive
alla “Scuola per l’arte dell’attore” diretta da Marco Parodi a Cagliari, un
luogo dove conosce bravi maestri e riconosce persone simili a lei, con la
stessa passione. Seguono altri insegnanti, Micheal Margotta, Roberto e Franco
Graziosi, Juan Diego Puerta Lopez, Gabriella Rusticali, Giusy Devinu, Nicolaj
Karpov, Francesco Manetti, Marcello Bartoli, Rossella Faa, Kevin Crawford,
Guido de Monticelli e Coco Leonardi, e altre scuole come l’“Accademia dell'arte
di Arezzo”. Dalla Sardegna si ritrova a Roma, dove Antonella studia e nel frattempo
svolge mille lavori per mantenersi: commessa, telefonista in un call center, cameriera,
assistente alla poltrona in uno studio dentistico...
Le giornate non sono mai
abbastanza lunghe e passano tra il lavoro e la ricerca estenuante di una
scrittura. Lavora come figurante, pubblico nelle trasmissioni televisive, comparsa
in qualche film, ma ottiene anche ruoli teatrali (a regia di Pierpaolo Conconi,
Marco Parodi, Antonella Uras e Filippo Salaris, Ivano Cugia), cinematografici
(a regia dell’austriaco Xaver Schwarzenberger) e in cortometraggi prodotti
dalla New York Film Academy e dalla
Sardinia Media Factory. Soprattutto nel 2011 viene scelta in una piccola
parte di un film di Leonardo Pieraccioni, “Finalmente la felicità”, dove
interpreta un’infermiera sarda. Nel suo paese diventa una vera star ma lei si
sente lacerata dentro perché sa che non è così semplice, non è detto che tutto
questo le apra automaticamente le porte dorate
del cinema. La vita è molto difficile, specie per l’artista che più spesso vive
tra un’apparenza piena di stelle e una sostanza dura, grigia, esacerbata.
Antonella ha pensato anche di abbandonare tutto, così per un periodo è tornata
in Sardegna, ma come lei dice: “Se non lo faccio sto male” e torna a Roma,
riprende a studiare con Luciano Curreli, partecipa ai casting. La vedremo presto nel film “Nico 1980” sulla storia
della cantante dei Velvet Underground, una produzione italo-francese.
Lei è una donna sarda resistente, fiera, che non demorde.
Basta vederla recitare per entrare nel suo mondo antico e immenso: le terre
della Sardegna e il mare che la circonda, i canti antichi e l’esperienza delle
madri. La sua voce è capace di dipingere i sentimenti, di dare corpo alle
suggestioni dei colori e dei profumi della sua isola. Chi l’ascolta, chi la
vede recitare sulla scena non la dimentica.