Johann Joachim Winckelmann, nato a Stendal nel 1755, è il fondatore della moderna archeologia, che non diventa più un interesse di natura antiquaria, ma un vero e proprio programma d’indagine. E’ il primo che rintraccia una linea coerente, finalizzata a scoprire “l’essenza dell’arte” attraverso le opere classiche, quali esempi di perfezione assoluta e ideale estetico. Inoltre, è il primo ad analizzare le opere d’arte antica seguendo un criterio stilistico e formale. La fortuna delle sue teorie contribuisce a determinare una vera corrente di gusto, il neoclassicismo, anche perché con lui la storia dell’arte diventa anche il fine dell’acquisizione estetica.
Un legame indecifrabile sembra legare Henri Beyle a Winckelmann. Un indizio è nel nome della città natale dell’uno, scelto come pseudonimo dall’altro, complicato dall’aggiunta di quell’H, iniziale di Henri, quasi un espediente per far scivolare l’accento dalla “e” della prima sillaba della pronuncia tedesca, sulla “a” di quella francese. Un’ altra ipotesi giocosa la mia, in amicizia alla giocosità che fu di lui (vedi l’acca di stendHal).
In questo periodo, le grandi scoperte di Pompei ed Ercolano, il vento esotico delle campagne napoleoniche in Egitto, che valsero la scoperta dell’importantissima Stele di Rosetta, l’interesse per l’arte e l’archeologia coinvolsero gli uomini di cultura, come, ad esempio Goethe e Mérimée. Questo interesse non poteva prescindere dall’eredità winckelmanniana.
Stendhal non fa eccezione ed è difficile non immaginare un suo legame con il tedesco, voluto anche dal caso. Nel suo trattato sulla pittura si preoccupa di seguire un criterio coerente, la suddivisione per scuole. Winckelmann è citato spesso nelle sue osservazioni sull’arte, talvolta negando di averlo letto, tal altra riportando lettere e documenti, in perfetto accordo, sempre in disaccordo con se stesso.
Compie un primo viaggio attraverso l’Italia, toccando le stesse tappe già percorse da Winckelmann e fu a Trieste, proprio nella città in cui Winckelmann venne ucciso da Francesco Arcangeli in circostanze oscure, che sollevarono diverse malizie sulla sua omosessualità, comprese quelle di Goethe e dello stesso Stendhal.
Winckelmman morì in questa città, tra dolori atroci, nello squallore di una camera d’albergo, per mano di un popolano butterato, proprio lui, che aveva mitizzato la bellezza di Apollo, senza “tendini né vene”, sublime, incontaminata da sangue e umori.
Questo ricordo di certo dovette impressionare Stendhal, quando vide la piazza protesa verso il mare: lo stesso ultimo quadro che vide anche l’assassino, condannato al supplizio della ruota e lasciato lì fino alla decomposizione. Proprio in quest’altalena di contrasti forse si potrebbe trovare il legame con Winckelmann, che non è nella somiglianza, ma proprio nella differenza.
Il “piccolo segno di vaiolo” sul volto dell’amata è anch’essa una necrosi, un particolare che stride con l’ideale estetico winckelmanniano. Stendhal si fa teorico "rivoluzionario ed eretico" della bellezza, stravolgendone i canoni, che scopre lungo opposti percorsi. Per lui “gli uomini incapaci di amore-passione sono quelli maggiormente sensibili alla bellezza”.
E le diverse obiezioni alle teorie di Winckelmann si possono cogliere spesso in Stendhal, ad esempio nella prefazione all’edizione di Londra del suo “Roma, Firenze, Napoli”: “Non è l’arte che bisogna cercare in questo libro: è uno schizzo che la natura ha dettato”. Un’idea romantica, del tutto opposta all’arte come qualcosa di ideale, che va “oltre la natura” e sublima la realtà. E nell’ordine del finito, Winckelmann era attratto soprattutto dalla linea, dalla scultura, mentre Stendhal era estasiato dal colore, dalle sfumature, dall’impercettibile illimitato, che si lasciano comprendere appieno in quest’altra sua frase: “la musica è la pittura delle passioni”.
http://www.compagnosegreto.it/numero2/costellazioni6.htm
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