lunedì 20 marzo 2017

Visioni Sarde: tre documentari raccontano i volti opposti della Sardegna

 

 

Si rinnova la collaborazione tra l’Associazione il Gremio dei Sardi di Roma e il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Coordinatrice è Franca Farina della Cineteca Nazionale e trait d’union con il Gremio del quale è membro del consiglio direttivo. Sono tre i documentari proiettati al cinema Trevi, ognuno su un aspetto diverso della Sardegna eppure stranamente complementari. Opere profonde e di violento impatto allo stesso tempo perché capaci di entrare con il respiro dentro al  cuore dello spettatore. La commozione era percepibile nella sala del cinema Trevi, gremita a tal punto da dover lasciare molte persone fuori ad aspettare che qualcuno liberasse il posto.  Le immagini e le parole scorrevano sullo schermo insieme agli stati d’animo. Emozionati, stupiti, commossi, indignati.  Difficile non provare questi sentimenti di fronte alla bellezza totale della Sardegna e alle sue contraddizioni troppo spesso incomprensibili. 

Perché  una donna come Chiara Vigo, depositaria di una sapienza millenaria come quella legata al bisso marino, non deve avere una sua scuola istituzionale, perché le hanno chiuso il museo, perché è ossequiata da persone che arrivano dai  paesi più lontani e non dalle istituzioni locali di Sant’Antioco? Questa, ad esempio, la domanda che tutti ci siamo posti durante la proiezione del bellissimo docu-film Il filo dell’acqua della regista Rossana Cingolani. Un documentario che si ha bisogno di rivedere più volte. La sensazione è di sentirsi accolti e immersi nelle stanze in ombra di Chiara Vigo e di trovare pace. Ci sono le immagini di un mare che sembra voler spandersi e lambire lo spettatore, la luce blu del tramonto e la danza e i gesti di una donna che sono gli stessi di quelli impressi sulle pitture vascolari antiche. La sapienza e le parole di Chiara non sono facili da comprendere e lei lo sa, ci sono tante persone che “non sono più abituate a incontrarsi”. Una donna libera che non chiede niente in cambio, che conosce bene la differenza tra vivere ed esistere. “Essere, pregare, tessere” è uno dei versetti del giuramento di trasmissione del bisso che non è un formulario vuoto, è la dichiarazione di chi si è. “Tutto quello che so lo devo a mia nonna”: una frase che non può lasciare indifferenti le donne sarde, che hanno con il ramo femminile della famiglia un rapporto che va al di là del semplice affetto. La nonna Leonilde ha iniziato la nipote a un’arte antichissima e difficile che non si accontenta solo di apprendere una tecnica ma di aderire anima e corpo a una missione che trasforma e lega la persona.


Dopo il filo dell’acqua, che regala un’immagine di bellezza mitologica, il secondo documentario mostra una sequenza di paesaggi in bianco e nero, il brillio freddo delle fabbriche, i volti preoccupati se non infelici di tanti testimoni: un’altra faccia della Sardegna.
Negli anni ’60, nel cuore dell’isola, nella Media Valle del Tirso, fu impiantato un polo petrolchimico. Un’illusione durata solo trent’anni. E così in nome del famoso “Piano di rinascita”, ci si buttò  a capofitto, come dice il titolo del documentario di Antonio Sanna  e Umberto Siotto, Senza passare dal VIA, cioè senza alcuna valutazione di impatto ambientale, il che ha significato l’accettazione di  qualsiasi compromesso, come mettere a repentaglio la propria salute, pur di ottenere un lavoro. Vendere tutte le pecore e le terre per una promessa non mantenuta e poi ritrovarsi senza niente, questo lo stato di fatto di molta gente di Ottana.  Appare in tutta la sua gravità la constatazione del fallimento derivato dalla corsa a una industrializzazione che in Sardegna ha portato benefici immediati e danni insanabili, come la contaminazione irrevocabile dell’ambiente. Nel corso degli anni sul polo industriale di Ottana è arrivata un’enorme quantità di denaro per sanare continui stati di crisi e avvicendamenti produttivi: si tratta di risorse che, di fatto, sono state sottratte alla crescita di altri settori importanti dell'economia come turismo, artigianato, agricoltura e pastorizia. Ora a distanza di oltre quarant’anni il percorso produttivo del Polo Petrolchimico  sembra essere arrivato al capolinea.


A chiudere il cerchio, Le nostre storie ci guardano di Sergio Naitza  dove la corrispondenza tra due fratelli sembra fare da contrappunto tra tradizione e modernità, tra silenzio e lentezza  agropastorali  e la vita convulsa della città moderna. Il documentario racconta venticinque anni di storia sociale sarda, dalla fine degli anni ’50 al 1970. Un racconto affollato di testimoni, tanti che in molti riconoscono volti noti e meno noti dell’isola, amici, parenti, vicini di casa, artisti, uomini dello spettacolo e della cultura. Sono anni cruciali, nei quali la Sardegna mostra una realtà peculiare in cui però ci si specchia l’intera nazione. Si capisce che l’isola non è un luogo lontano e isolato, avulso dai grandi disegni epocali. In questo film si riconoscono i sardi ma ci si ritrovano di riflesso tutti coloro i quali possono ricordare quegli anni. Così l’emigrazione, le  miniere di carbone, le cooperative di pescatori, il banditismo e la nascita della Costa Smeralda, l’industrializzazione e la squadra del Cagliari, Gigi Riva e lo scudetto.   Attraverso il filo della storia – le lettere dei fratelli, l’uno in un paesino dell’entroterra, l’altro a Cagliari - sono tessute le storie, fatte di rapide sequenze tratte da documentari, inchieste, servizi giornalistici, custoditi negli archivi RAI. Le interviste si susseguono e forniscono le chiavi di lettura dei fenomeni di ieri e delle conseguenze sui tempi dell’oggi.

 A conclusione della serata, durante il dibattito, l’intervento accorato di Ilaria Onorato, attrice e socia del Gremio, enuclea il centro di ogni questione. Sono le parole di un ragazzo durante un’intervista: per superare lo stato delle cose ci vuole un segno di protesta e questo è possibile attraverso l’istruzione, fin da piccoli. Ed è proprio così: l’unica salvezza è dare alle persone la possibilità di scegliere in modo consapevole. Il disincanto che si legge negli occhi di quei sardi traditi da troppe promesse non appartiene allo sguardo di chi possiede conoscenza e libertà di scegliere ogni giorno come, uno tra tutti, quello di Chiara Vigo.