Il meccanismo della metamorfosi: girotondo d'insetti
Gregorio, un mattino si risveglia insetto. Non sappiamo come ciò sia avvenuto e neppure lui sembra rendersene conto. Soprattutto non sembra meravigliarsi, accetta la nuova condizione, senza mai chiedersi se esista un modo per tornare com’era prima: un giovane assennato e responsabile, commesso viaggiatore. Piuttosto è attratto dal suo essere nuovo meccanismo: qui le zampette, qui il dorso duro e nero, qui le antenne, che gli permettono cose impensabili, come camminare sulle pareti.
Tutto molto diverso dalle “Metamorfosi” di Ovidio, le cui mutazioni sono descritte nel suo compiersi, come si trattasse di processi naturali, fisiologici. Le nuove forme subentrano sotto i nostri occhi; ci sembra di vederle compiersi in modo plastico, senza scatti. Questo aspetto di “fantasiosa scientificità” che animalizza gli umani e umanizza gli animali, che trasforma piante, cose, elementi in pochi tocchi, mette in comunicazione le diversità della natura e le filtra attraverso l’indistinto della materia primordiale, dove tutto scaturisce dallo stesso atomo.
Nel racconto di Kafka appaiono gli stessi vaghi confini tra le cose, ma aleggia anche un senso di cruda realtà non spiegata e non spiegabile, in contrapposizione al meraviglioso immaginifico del poeta latino.
Esiste un legame singolare, un girotondo stretto tra le metamorfosi di Kafka, quelle di Ovidio e quella di Enzino, protagonista de “La casa del barbiere” di Ferdinando Albertazzi. Anche in questo romanzo avviene una metamorfosi. Il ragazzino all’improvviso impazzisce, qualcosa si spezza dentro di lui.
Anche qui la causa è taciuta, o meglio, camuffata in un episodio apparentemente banale, non sufficiente, che parte da un gioco con le formiche nel giardino. Quella notte il grumo acquattato dentro di lui esplode e lo cambia, lo rende “diverso”, lo emargina dal mondo, esattamente come Gregorio, chiuso nella claustrofobia di una stanza denudata. Al di là della finestra un identico fondale, una casa senza suono, anch’essa bianca.
Le metamorfosi di Ovidio sono “oggettive” e trovano causa pragmatica nell’intervento di un dio che punisce una colpa reale. Nessuna spiegazione è data, invece, alla trasformazione di Gregorio in scarafaggio, mentre la suggeriscono le formiche di Enzino, che mostrano un altro tipo di metamorfosi, meno visibile, quindi credibile, ma proprio per questo radicale: sono proiezioni di sé stesso, sono le testimoni di un’esclusione.
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